24/03/2017 – Attività difensiva svolta in favore del contribuente

24/03/2017 – Attività difensiva svolta in favore del contribuente

Commiss. Trib. Prov. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 13-02-2017, n. 1305 Fatto – Diritto P.Q.M. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MILANO TERZA SEZIONE riunita con l’intervento dei Signori: FUGACCI PIERLUIGI – Presidente CHIAMETTI GUIDO – Relatore CRISAFULLI GIUSEPPA – Giudice ha emesso la seguente SENTENZA – sul ricorso n. 3721/2016 depositato il 01/06/2016 – avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ADD.REG. 2010 – avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ADD.COM. 2010 – avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ALTRO 2010 contro: AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE II DI MILANO proposto dal ricorrente: T.P.R. VIA P. F. 6 20010 P. M. difeso da: COLOMBO PAOLO VIA G. BASSETTI 18 20027 RESCALDINA MI Svolgimento del processo – Motivi della decisione Con ricorso depositato in data 1 giugno 2016, il ricorrente P.T., impugnava l’atto in epigrafe. La controversia traeva la propria origine dal PVC redatto dai militari della GdF in data 11 maggio 2011, nei confronti della società N.B. S.r.l., con il quale si accertava, a’sensi dell’art. 41 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973, un maggior reddito imponibile pari a Euro. 24.000,00., inquadrando l’odierno ricorrente come amministratore di fatto della sopracitata società. Infatti, a pagina 3 di 18 dell’avviso di accertamento impugnato, si legge, nella parte motiva dello stesso, che l’importo sopra descritto, qualificato come reddito in capo al ricorrente, era stato determinato come reddito “ipotizzabile”. Il contribuente evidenziava in primis, che l’atto impugnato era una mera riproposizione di atti precedenti relativi alle annualità 2008 e 2009, senza l’aggiunta di motivi nuovi. Specificava il contribuente che per le due annualità appena citate, la Commissione Provinciale di Milano aveva, con le sentenze nn. 4747/46/15 e 4751/46/15, accolto i ricorsi dello stesso, disponendo l’annullamento degli avvisi impugnati (sentenze appellate). Poneva l’accento poi, sul fatto che l’atto oggi impugnato, era privo dell’indicazione degli elementi probatori in quanto contenuti in un altro atto che non era stato allegato; che l’avviso era inficiato da un difetto di motivazione in quanto l’ufficio aveva proceduto ad un mero “copia e incolla” delle motivazione addotte nel PVC, senza tener conto, tra l’altro, delle motivazioni e spiegazioni fornite dal contribuente in fase di contraddittorio, instaurato a seguito di accertamento con adesione e, soprattutto, senza aver preso in considerazione l’ordinanza-ingiunzione n. 4/11/G.F. del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nella ordinanza-ingiunzione de qua, la sanzione amministrativa per irregolarità inerenti il rapporto di lavoro dei dipendenti della società, era stata comminata alla sig.ra R.T. quale socia amministratrice e non al ricorrente Sig. T., anche perché non vi erano prove sulla posizione/ruolo occupata dall’odierno ricorrente, all’interno dell’organizzazione della società N.B. S.r.l., società, ribadiva il ricorrente, di proprietà delle figlie e amministrata da una di esse. Infatti, a pagina 5 del ricorso, che rimanda all’allegato n. 2 dello stesso, si legge che l’odierno ricorrente non occupava il ruolo ascrittogli dall’agenzia, in quanto, i funzionari del Ministero del Lavoro, avevano escluso – cassando in maniera piena – le contestazione della GdF, con riferimento alla posizione e alla funzione dell’odierno ricorrente all’interno della società, a causa del mancato raggiungimento di alcuna prova in tal senso. Ancora seguitava il ricorrente nel sollevare altri vizi di motivazione del provvedimento impugnato, in quanto gli elementi raccolti erano privi dei requisiti di gravità precisione e concordanza e che appunto le presunzioni addotte, non erano supportate da adeguati elementi probativi. Evidenziava poi che l’ufficio non aveva fornito la prova dell’effettivo incasso da parte del contribuente del maggior reddito accertato e che la presunzione, contenuta nella parte motiva dell’avviso, che l’asserito amministratore di fatto debba percepire lo stesso compenso percepito dal direttore commerciale (Euro. 2.000,00 al mese) non era sostenibile e/o percorribile. Infatti, continuava il ricorrente, l’ufficio, partendo dalla supposizione che la persona che rivestiva il ruolo di direttrice commerciale fosse remunerata con un compenso mensile, come detto, di Euro. 2.000,00., pretendeva senza prova alcuna, di assegnare un simile compenso, presunto, alla presunta e non provata, carica di amministratore di fatto. Aggiungeva infine che in qualità di padre non avrebbe mai gravato le figlie, titolari della società, di un tale onere così elevato, specie in un tal contesto di crisi, tanto che nel 2011 l’azienda è stata ceduta. Concludeva su tale specifico punto adducendo come il proprio apporto si riduceva ad un aiuto gratuito alle figlie e a tempo perso. Chiedeva l’annullamento dell’avviso impugnato per vizio di motivazione e per insussistenza di elementi certi e precisi. In data 13 giugno 2016, l’ufficio diveniva parte nel processo. Replicava al contribuente evidenziando come l’atto non poteva essere considerato nullo solo per la mancata allegazione di una circolare richiamata. Sulla mera riproposizione delle motivazioni addotte nel PVC, l’ufficio evidenziava come, secondo la Suprema Corte, non era illegittima la riproposizione pedissequa del contenuto del PVC, in quanto voleva significare che le conclusioni cui erano giunte i verbalizzanti erano condivise pienamente dall’ufficio, il cui intento era realizzare un’economia di scrittura. Sulle doglianze relative ai vizi di motivazione e sulla ricostruzione induttiva del maggior reddito l’ufficio riteneva le stesse, meramente dilatorie. Quest’ultimo evidenziava come dalla documentazione rinvenuta nei supporti rigidi dei personal computer, era emerso che il ricorrente era considerato dai fornitori come referente della società nonché “general manager”, anche perché era stato lo stesso contribuente a presentare l’offerta per la rilevazione della precedente gestione della società, aggiungeva poi che anche dalle dichiarazioni dei dipendenti risultava che il potere direttivo era in capo al Sig. T.. Sul punto l’ufficio aggiungeva che in sede di accesso dei militari, l’odierno ricorrente si era presentato come titolare della ditta. Aggiungeva poi che le due sentenze di primo grado relative alle annualità 2008 e 2009 erano state appellate e che dalle risultanze del PVC emergeva chiaramente che il contribuente era amministratore di fatto. Per quanto riguarda la questione dell’ingiunzione-ordinanza del Ministero del Lavoro, l’ufficio sottolineava come i militari della GdF, avevano qualificato il rapporto di lavoro del sig. T. non come lavoro dipendente bensì come lavoro autonomo. Chiedeva il rigetto del ricorso. Il Collegio giudicante così decide. L’odierna contestazione verte sulla supposta qualifica di amministratore di fatto di P.T., della società N.B. s.r.l. che all’epoca dell’accesso della verifica fiscale, aveva quale legale rappresentante la figlia R.T.. Il ricorrente ha contestato il fatto della presunta insufficienza degli elementi probatori per aver acriticamente attribuito il ruolo di amministratore di fatto della società sopra citata, al ricorrente, solo sulla base del P.V.C. I fatti si concretizzano nella fattispecie che l’avviso di accertamento ha ripreso il contenuto del P.V.C. redatto dalla Guardia di Finanza l’11 maggio 2011. Tuttavia dalla documentazione rinvenuta nei file trovati all’interno dei supporti dei pc, in uso dalla società, era emerso che l’odierno ricorrente, tale T.P., veniva reputato dai fornitori, quale referente della N.B. s.r.l., già a far data dal luglio 2008, e quale general manager della stessa. L’ufficio oltre a tale segnalazione ha sostenuto che il potere direttivo e disciplinare era sempre stato esercitato soprattutto dallo stesso P.T.. Sostiene sempre l’ufficio che il giorno dell’accesso dei militari, alla richiesta di avvisare il responsabile, era stato contattato, anche dalle due proprietarie delle quote societarie (T.R. e I.) il T.P. che inizialmente, si era presentato agli operanti come titolare dell’impresa. Alla stregua di ciò, l’ufficio ha tranquillamente affermato che P.T. era l’amministratore di fatto della società sopra citata, anche se la stessa risultava di proprietà delle figlie, R. e I.. Ciò posto, per questo Giudice non appare che la tipologia di lavoro esercitata dallo stesso possa rientrare nell’alveo della disciplina relativa al lavoro autonomo, il cui inizio fosse obbligatoriamente da comunicare attraverso i servizi per l’impiego. L’ufficio non può affermare elementi dai quali poter desumere la sua qualifica di amministratore di fatto e non può aggrapparsi alla comunicazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – direzione territoriale di Milano che ha, più tardi emesso l’ordinanza con la quale ha cassato le contestazioni della G.D.F., con riferimento alla posizione e al presunto ruolo del ricorrente della società N.B. s.r.l., determinando l’esistenza del rapporto lavorativo accertato con riferimento al ricorrente P.T.. Fra le altre cose, per questo Consesso giudicante risulta fra le altre cose, che l’ufficio non ha dato la prova dell’effettivo incasso del presunto maggior reddito di lavoro autonomo. Ed ancora, è stata assolutamente inventata e non provata la ricostruzione induttiva del reddito del ricorrente sulla base dell’assunto che, in quanto responsabile commerciale percepisse dalla società N.B. s.r.l. un compenso di Euro 2.000,00 al mese. Non appare corretto la determinazione del reddito induttivo, così come fatto dall’ufficio, in quanto P.T., quale padre delle due socie che erano titolari delle quote della N.B., sicuramente non aveva intenzione di rendere economicamente difficoltosa la nuova intrapresa, a discapito del futuro delle proprie figlie. Si legge negli atti del ricorso che in effetti, la crisi economica generale e quella del settore (confezioni di abbigliamento per bambini) non ha consentito il successo e la prosecuzione dell’attività della società N.B. s.r.l. che fu ceduta già nel 2011 e che in seguito è stata sottoposta a procedura fallimentare. La presenza del padre nella gestione, tante volte può essere di aiuto ai figli che seguono il modo di condurre la conclusione di alcuni affari societari che l’azienda deve compiere. Vi è pertanto lo spirito di liberalità da parte del padre verso i propri figli. L’annullamento della segnalazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ed altre prove ancora, hanno convinto questo Collegio ad accogliere il ricorso con totale annullamento dell’avviso di accertamento de quo. Viene determinata la soccombenza dell’ufficio per le spese che vengono liquidate come da dispositivo. Il Collegio giudicante P.Q.M. accoglie il ricorso. Condanna l’ufficio al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 300,00 oltre oneri di legge. Milano, il 30 gennaio 2017.